2/GEN/2020Francesco PiggioliSport, L'Angolo del Piggio
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CALCIO - Il Bologna volta pagina: addio Destro, favola senza lieto fine

Un sogno che diventa incubo, una storia d'amore che si trasforma in agonia, una valanga di promesse mai mantenute.

Mattia Destro e il Bologna si separano, dopo quattro anni e mezzo di pochissimi alti incastonati qua e là nell'infinità dei bassi. L'attaccante ascolano va ad esaurire gli ultimi mesi del suo faraonico contratto bolognese (quasi 2 milioni netti di stipendio annuo) sulle sponde che lo accolsero nell'ora del primo vagito nel calcio dei grandi: quelle della Genova rossoblù. Con la maglia del Genoa Destro esordì e segnò le prime reti in Serie A, sempre con il Grifone quasi dieci anni più tardi proverà a rimettere insieme i cocci di una carriera finita da tempo su un binario morto. Sbolognato come un ferrovecchio qualsiasi, proprio lui che nell'agosto 2015 trovò più di cinquecento tifosi ad attenderlo su un binario -quello sì- carico di aspettative e di vitalità. Stazione centrale, tardo pomeriggio di fine estate: Bologna abbraccia il suo futuro. Un Di Vaio più giovane, un Gilardino a tempo indeterminato. Dal vagone scende un rampante bomber dal sangue blu, che sfruttando lo status di predestinato ha scampato la gavetta della Serie B: un anno al Genoa, uno al Siena ed eccolo subito nel calcio che conta, immerso poco più che ventenne tra le bellezze senza tempo di Roma. Nella Capitale segna tanto pur giocando poco, annusa la Nazionale ma non s'impone e neppure il prestito al Milan a chiusura del triennio sull'altalena giallorossa fa scattare la tanto agognata scintilla. Di dubbi, però, nemmeno l'ombra: al ragazzo manca solo una squadra che gli dia fiducia e responsabilità, che lo faccia sentire importante e centrale. I goal li fa, il curriculum resta intrigante.

A farsi carico dei bisogni di Destro è il Bologna di Joey Saputo, fresco di ritorno in massima serie e a caccia di un uomo copertina. Mattia capisce che l'occasione è ghiotta, prende l'ascensore e scende al piano di sotto. E' il suo primo esame da aspirante leader: resterà l'unico. Da quell'estate 2015 inizia un'altra storia. Decadente, misteriosa, piena di illusioni e povera di fatti. Una storia di paradossi. Un esempio: Destro non è mai stato tanto decisivo per le sorti del Bologna quanto nell'anno in cui ha segnato meno. Parliamo del campionato scorso, chiuso con appena 4 reti all'attivo, tutte siglate nel girone di ritorno sotto la guida del -a questo punto ex- mentore Mihajlovic dopo un'andata condizionata dall'esilio tecnico imposto dal predecessore Inzaghi. Quattro allenatori, due direttori sportivi e un paio di preparatori atletici ad personam dopo, siamo sempre daccapo: Destro non riesce a convincere nessuno a puntare con decisione su di lui. Che in questi anni ha comunque trovato modo di rendersi utile alla causa, perché 29 goal ufficiali sono lì, sul piatto.

Ma a questo punto occorre essere onesti: ad un giocatore costato 10 milioni di euro di cartellino e all'incirca altrettanto di stipendi complessivi non si può chiedere di essere semplicemente utile. A Destro si chiedeva di risultare decisivo, di spostare gli equilibri in una squadra che fino all'altro ieri frequentava stabilmente i bassifondi della categoria. Non lo ha fatto, per quattro anni abbondanti. Punto e a capo. A Destro è stato riconosciuto un credito insolito, la notoriamente civile e bonaria Bologna ha continuato ad aspettarlo oltre ogni soglia di decenza: fino ad oggi pomeriggio. E dire che da almeno un paio di stagioni il ragazzo aveva ceduto scettro e rango di primattore, accettando di preparare nelle retrovie una rinascita spesso sbandierata sui social ma mai realmente concretizzata sul campo. Sì, la storia di Destro a Bologna mescola nel calderone anche mitologia e letteratura. Il famigerato pestone di Miranda come origine di tutti i mali (correva l'anno 2016!), i dissidi con Donadoni, il numero 10 che sbaglia i rigori cantato da Cesare Cremonini e "declassato" a 22 come simbolo tangibile di fame e umiltà, i cronici problemi fisici circondati da punti interrogativi, le esultanze tanto sguaiate e liberatorie quanto isolate e rare, l'ostracismo di Inzaghi. Fino alle carezze di Mihajlovic, a quell'ultimo grido di rinascita lanciato al mondo sotto forma di pranzo vacanziero e benedetto dal tecnico, alle lacrime spontanee affiorate in diretta nei giorni successivi all'annuncio della malattia di Sinisa. Emozioni alte, intenzioni nobili e forti che vanno però a cozzare sistematicamente con la dura e spietata legge del campo, dove l'elettrocardiogramma è piatto da tempo. Troppo tempo.

Eppure, né la società né il tifo hanno mai avuto la forza di affrontare davvero la questione. Di mettere sotto indagine il suo rendimento, la sua parabola discendente. Un processo a Destro avrebbe assunto le sembianze di un processo ad un quadriennio sottotono, di consolidamento mascherato da mediocrità. Mattia Destro è in fondo un figlio di quell'epoca incompiuta ed illusoria. Da un anno a questa parte il Bologna ha inaugurato un nuovo capitolo, sotto la guida di Mihajlovic. Quell'affollato pomeriggio agostano in stazione rappresenta un peccato originale ormai lontano e sbiadito, destinato all'album dei ricordi. Finisce in archivio, come il suo protagonista. Da stasera il Bologna volta ufficialmente pagina.

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